About Vince

Scrivere una Bio, ma da dove partire? Partiamo dal motivo per cui sono qui ora, che è anche quello per cui probabilmente mi stai leggendo in questo momento: aprire mano ai segreti, alle dinamiche ed ai modelli dei Business Digitali.

La mia Storia nel Mondo del Web è iniziata nel 2010, al termine del mio percorso di studi universitari.  Erano i primi anni della tristemente nota Crisi che, dall’anno prima, aveva iniziato a stringere nella sua morsa tenace l’operoso Nordest. Mio padre, piccolo imprenditore, portava a casa ogni giorno nuove conferme di quella preoccupante spirale di recessione di cui tutti i Mass Media parlavano. Nello stesso tempo tutti i miei compagni di studi all’Università mi confermavano, in preoccupanti e accalorati sfoghi, delle enormi difficoltà che incontravano nel trovare una via di entrata al Mondo del Lavoro: si stava già formando la convinzione che trovare un posto fisso fosse più una questione di fortuna, di una grande fortuna, che altro. In questo contesto capii subito che non potevo affidarmi al mio percorso di studi accademico per trovare una soluzione al problema del mio futuro.


 Allora ebbi un’intuizione, e mi chiesi: cosa c’è di nuovo oggi, che cosa sta crescendo in questo contesto in cui pare che tutto si stia contraendo, che cosa può fare un giovane oggi di utile ed interessante per le imprese?


La risposta che mi diedi fu: Internet, o meglio il Web. Non sapevo quasi nulla del Mondo Digitale allora, ma non mi persi d’animo, e mi dissi: Vince hai studiato tante cose all’Università che ti sono servite a poco o nulla, adesso, con lo stesso metodo ed impegno, studierai questa. Quindi cominciai ad imparare l’HTML 4 e il CSS per creare i Siti, Google Adwords e la SEO per posizionarli, ovvero le cose che all’epoca andavano per la maggiore. Scrissi anche un E-Book che publicai con il maggiore editore digitale Italiano dell’epoca, Giacomo Bruno. La mia intuizione si rivelò fondata: grazie alle conoscenze digitali maturate su quei pochi strumenti, dopo circa un’anno e mezzo, trovai lavoro a tempo indeterminato in una grossa azienda italiana che si occupava di Marketing e Pubblicità. Cominciai a lavorare come Media Consultant: in sostanza mi occupavo di fare consulenza ai clienti Big Spender di agenzia ed a fare Formazione. Siamo nel 2012, la crisi imperversa, ed in tanti mi considerano quasi un miracolato ad aver conseguito il tanto agognato posto fisso in quell’epoca. Il digitale mi aveva salvato dalla crisi, la mia intuizione si era rivelata corretta. Preso dall’entusiasmo mi attaccai allora con tutte le mie forze a questo mondo, iniziando ad investire i premi aziendali del mio MBO in formazione, per restare al passo con un mondo che in quegli anni si stava facendo sempre più ricco di opportunità ma anche  di complessità: ormai non si parlava più solo di Siti Web e Posizionamento sui Motori di Ricerca, ma anche di commercio elettronico, marketplace, social, video, inbound marketing tra le altre cose.

Arrivai quindi ad un certo punto, siamo alla fine del 2014, in cui essere un consulente dipendente non mi bastava più, volevo lavorare in proprio, gestire da solo i miei clienti ed aprire la mia agenzia: cosa che infine feci, e così fondai Rebid. La famosa crisi non era ancora finita, anche se c’era qualche segnale di ripresa, nondimeno in molti mi diedero più o meno apertamente del pazzo a mollare un lavoro a tempo indeterminato in un grande azienda per tentare un’avventura in proprio in tempi così complessi. Io comunque ero sempre governato dalla fiducia nella mia intuizione originaria: ovvero che i Business Digitali fossero il presente ed il futuro, per cui, per quanto le condizioni di mercato in generale fossero difficili, la mia nicchia sarebbe comunque cresciuta.


Devo dire che ancora una volta il mondo del digitale confermò il suo trend positivo, ed in un paio di anni la mia agenzia, partita con un logo, un sito web ed io solo, crebbe fino ad occupare dieci persone.


Guardandola dall’esterno sembrava mi fosse toccato un altro piccolo miracolo, come quello del posto fisso di qualche anno prima. Nondimeno non ero ancora pienamente soddisfatto, anzi per niente ad essere sinceri: c’erano troppe cose che non andavano e che per quanto mi sforzassi non mi riusciva di sistemare. Prima di tutto non mi riusciva di sistemare il flusso di cassa dell’agenzia, tra morosità, dilazioni, tasse, iva che versavi prima di averla incassata, stipendi e spese fisse e variabili, il fatturato non coincideva mai con la reale disponibilità, soprattutto perché nel mondo dei servizi si è abituati ad essere pagati dopo l’espletamento del servizio, per cui alla fine si lavora quasi sempre anticipando costi. Inoltre per quanto crescessi ero personalmente coinvolto in tutti gli aspetti dell’azienda: ogni giorno mi chiamavano o dovevo chiamare clienti, fornitori, venditori, webmaster, social media, grafica, commercialista e compagnia cantante. Lavoravo tantissimo ma sempre più spesso in reazione e non seguendo una pianificazione. Non che non l’avessi, una pianificazione, ma l’emergenza regnava sovrana, e lavorare pianificato diventava sempre più spesso l’eccezione e non la regola. Le cose migliori e che mi davano soddisfazione del mio lavoro dovevo farle praticamente nel tempo libero, la sera dopo le 19, oppure nei weekend. Paradossalemente erano diventate il mio hobby. Un assurdo. Mi arrovellavo il cervello continuamente per capire dove stavo sbagliando, studiavo i modelli delle altre agenzie, pensavo di continuo alle mie esperienze lavorative passate per trovare una soluzione. Fino a che capii che non stavo sbagliando uno o più passaggi nella gestione dell’agenzia, ma che il problema risiedeva nel modello.

Io con i miei collaboratori nella mia vecchia Agenzia

La mia agenzia infatti era troppo schiacciata nel classico modello di tutte le agenzie: si lavorava con i venditori/account, con le referenze, si partecipava agli eventi di settore, si faceva formazione per fare lead, si andava dai clienti fisicamente più e più volte per la trattativa, si facevano dei preventivi sulla base dei brief, si dovevano continuamente far combaciare esigenze di customizzazione e budget di spesa accordati. Tutte attività che bruciavano un mucchio di tempo ed energie, in cambio di incassi che sarebbero avvenuti molto tempo dopo, anche a causa di dilazioni di pagamento e rate che si concordavano con il cliente quando decideva di firmare. Inoltre più clienti entravano più persone bisognava assumere, essendo quello del marketing un lavoro basato sui servizi e non sui prodotti. Questo creava una duplice difficoltà. Da un lato era difficilissimo fare scala, per cui ogni cliente che entrava significava ore lavoro in più da reperire (prendendo altri collaboratori o andando in fornitura), e spesso problematiche sempre nuove da affrontare. Dall’altro era difficile posizionarsi nel mercato in modo da riuscire a farsi pagare di più. In sostanza quello che mi avevano insegnato, ovvero che in questo settore si vendeva grazie alle referenze ed ai Case History di successo non stava funzionando al 100% per me. Infatti era vero che sicuramente questi strumenti mi aiutavano a portare a casa nuovi clienti, ma erano totalmente inefficienti nel farmi aumentare i prezzi, e quindi le marginalità. Per quanto andassi avanti i margini restavano bassi e non mi ripagavano dell’impegno e dei rischi crescenti che mi andavo assumendo. La mia agenzia cresceva ma io non crescevo con lei, né la mia qualità di vita. Stavo sbagliando qualcosa.


La verità non è difficile da trovare, la verità è una cosa semplice. Quello che è difficile, quello per cui occorre tempo, è imparare ad accettarla in tutta la sua nuda, spartana, a volte spietata ed ironica evidenza.


Dalla verità non si può fuggire per sempre, prima o poi ci si deve fermare e guardarla negli occhi. E la verità per me era che il modello su cui avevo costruito Rebid, il classico modello di agenzia di marketing digitale, non era niente di diverso da quello che stavo facendo, e per quanti correttivi avessi potuto sperimentare non ne avrei mai cambiato la sostanza. Quei problemi che stavo vivendo li avevano tutti nel settore, erano difficili da eliminare perché insiti nel modello stesso di business. Avrei potuto scovare dei palliativi, ma, ora lo sapevo, quelle erano le regole del gioco. E non mi piacevano, soprattutto perché mi stavano allontanando dalle mia reale passione: ovvero quella sfida meravigliosa ed adrenalinica di costruire dei business digitali che convertono. C’è chi prova adrenalina nel fare una trattativa vis a vis con un cliente tosto, chi nel comandare un squadra di persone, io personalmente la provo quando vedo una landing page che raccoglie lead, quando mi chiama un cliente per dirmi che grazie ad una campagna che avevo pensato per lui ha chiuso un importante contratto, quando compro uno stock di smeraldi e lo piazzo su Ebay facendoci un profitto del 200%, perché avevo letto che le gemme sono un bene speculativo e volevo provare fino a che punto fosse vero. In sostanza ogni volta che penso qualcosa, la metto in opera e la guardo funzionare, ogni volta che arriva la notifica di una conversione mi batte il cuore dall’emozione. Questo da sempre, da quando nel 2010 feci una paginetta web per vendere un macchinario dell’impresa di mio padre, ci attaccai una campagna adwords, e dopo 30 giorni lo vendemmo.  Mi arriva una scarica di adrenalina meravigliosa in quei momenti: mi sembra di aver hackerato (in senso buono ovviamente 🙂 il sistema.

Chi mi conosce bene mi ha detto: Vince tu non sei un imprenditore, tu sei un creativo, un tecnico, un hacker dei business online. Sei una cosa del genere, ma non sei un imprenditore perché non ti motiva l’essere il capo, il comandare e dare ordini, il presentarti dicendo: sono Alvino, ho 33 anni, e sono il titolare di un’agenzia che occupa dieci persone, ho un ufficio in centro, più di 60 clienti e stacco 30 fatture al mese. Beh sapete una cosa?


A volte chi ti è vicino vede le verità che ti riguardano meglio di te stesso, perché non ha problemi ad accettarle. Invece tu sei confuso, a volte, perché invece di essere quello che sei, ti dai da fare per essere quello che sei convinto che dovresti essere.


Nel mio caso mio nonno, che adoravo, è stato un imprenditore, mio padre uguale, e quindi anche io, da qualche parte nel mio inconscio, mi ero convinto che dovevo seguire quella strada: avere un’azienda tutta mia, e vederla crescere in collaboratori, clienti e fatture staccate. Questa era la strada, mi avevano insegnato. Certo era la loro strada, ma non la mia. Questa era la verità: mi serviva un cambio radicale di modello. Ovviamente sapevo dove guardare: mi serviva un modello digitale, dovevo trasformare la mia attività in un business online al 100%. Fare per me quello che facevo per i miei clienti.

Non è stato facile, perché significava lasciare a casa tanti collaboratori, e dare via la gestione di quasi tutti i miei clienti, perché non avrei avuto più il tempo di gestire il modello vecchio tradizionale dovendo dedicarmi a quello nuovo digitale. Anche se sapevo che con un nuovo modello digitale avrei marginato di più tagliando tantissimi costi, anche se sapevo che avrei avuto la possibilità di dedicare quasi il 100% del mio tempo alle attività che mi appassionavano, e che  avrei fatto qualcosa di davvero vicina a come sono realmente nel profondo, comunque non è stato affatto facile. Si tratta sempre di recidere un legame profondo, una delle sfide più dure che ho dovuto affrontare. Sicuramente la più dura in ambito professionale. Ma la vita è fatta di scelte, la vita è il risultato della capacità di decidere, e quando, infine, la verità ti si palesa, non puoi fare a meno di fare la cosa giusta, e pagare il prezzo.

Che cosa ho creato, quale sia il modello di business digitale che ho implementato non mi dilungo a spiegarlo in questa sede, in fondo è già pubblico!

Volevo a questo punto solo ringraziarti per avermi letto; spero, era questo il mio intento, non solo di averti detto qualcosa di me e della mia vita, ma soprattutto di aver condiviso con te qualche spunto che possa ispirarti qualche riflessione che, in qualche modo, tu possa ritenere interessante, per ricompensarti del tempo mi hai dedicato.

Grazie ancora 🙂

Vince